Ieri ho portato a riparare la mia amata macchina del caffè.
Non sono potuto entrare nel laboratorio in quanto sprovvisto di greenpass – io prego davvero il Signore, per evidenti motivi, che non ci sia mai al mondo un essere umano che vada a farsi un tampone in farmacia per entrare da quello delle macchine del caffè.
La transazione, dunque, si è svolta in due fasi.
Nella prima, dall’interno del mio van parcheggiato proprio di fronte all’ingresso del laboratorio, ho raggiunto via filo il titolare dello stesso e gli ho spiegato che non sarei potuto entrare.
Nella seconda fase, l’esercente titolare di regolare partita IVA mi ha raggiunto nel cortile, dove ho potuto consegnargli la macchina da riparare, insieme ad un congruo fondo spese di dieci euro per la ricerca del guasto.
Mi sono sentito come credo di sentissero quelli che andavano a comprare il burro in piazza ai tempi del mercato nero durante la guerra.
Mi consola tuttavia l’aver in questo modo evitato, col mio incerto soffermarmi in cortile senza aver ingresso nel laboratorio, la morte e l’invalidità di dozzine di persone.
Cosa sono sacrifici come questo quando in ballo c’è la salute?
E poi dura solo fino al 31 marzo.
Forse.
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La mia vecchia cara bialetti eviterà di farmi sentire una lebbroso e sopratutto mi eviterà certi incontri.
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